A cura dell'avv. Paolo La Manna
Negli ultimi anni il mondo
del lavoro ha subito trasformazioni radicali, spinte dall’adozione di strumenti
digitali che hanno reso i confini tra vita privata e professionale sempre più
labili. La pandemia di COVID-19 ha accelerato questa tendenza, portando alla
diffusione del lavoro agile e a un maggiore utilizzo delle tecnologie per la
comunicazione e la produttività. Tuttavia, questa evoluzione ha evidenziato un
problema significativo: l’invasività della connessione costante.
Il disegno di legge S.
1290, presentato al Senato nella XIX Legislatura, cerca di affrontare
questa criticità introducendo il diritto alla disconnessione, una tutela che
mira a garantire ai lavoratori il rispetto dei tempi di riposo e la possibilità
di non rispondere a comunicazioni lavorative al di fuori dell’orario stabilito.
La normativa proposta si
inserisce in un contesto europeo in cui il tema ha già trovato spazio in Paesi
come Francia, nell’ambito della “Loi du Travail”, Spagna e
Belgio, e in una risoluzione del Parlamento Europeo, la n.
2019/2181 (INL), del 21 gennaio 2021, ove, nelle premesse, è sancito che
“…il diritto alla disconnessione è un diritto fondamentale che costituisce una
parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale; …tale
diritto dovrebbe essere considerato un importante strumento della politica
sociale a livello dell'Unione al fine di garantire la tutela dei diritti di
tutti i lavoratori;…l diritto alla disconnessione è particolarmente importante
per i lavoratori più vulnerabili e per quelli con responsabilità di
assistenza”. In buona sostanza, il diritto alla disconnessione viene
identificato come fondamentale per i nuovi modelli lavorativi.
Ciò nonostante, attualmente,
non esiste un quadro normativo a livello europeo che definisca e disciplini
esplicitamente il diritto alla disconnessione. Tuttavia, la Direttiva
sull'orario di lavoro (2003/88/CE) prevede diritti correlati, come i periodi
minimi di riposo giornaliero e settimanale, fondamentali per tutelare la salute
e la sicurezza dei lavoratori. Questo diritto è strettamente connesso al
raggiungimento di un miglior equilibrio tra vita lavorativa e privata,
obiettivo centrale di recenti iniziative europee, come i Principi 9 (work-life
balance) e 10 (healthy, safe and well-adapted work environment
and data protection) del Pilastro europeo dei diritti sociali, e
la direttiva sull'equilibrio tra vita professionale e privata per genitori e
prestatori di assistenza. Sebbene non trattino specificamente il diritto alla
disconnessione, queste norme ne sottolineano l'importanza. Inoltre, gli
articoli 153 e 154 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE)
potrebbero costituire la base giuridica per l’adozione di direttive che
stabiliscano requisiti minimi e supportino gli Stati membri nella
regolamentazione delle condizioni di lavoro.
Nell’ordinamento interno
il diritto alla disconnessione è stato formalmente introdotto per la prima
volta con la legge 22 maggio 2017, n. 81, che disciplina il lavoro agile.
L’articolo 19 della suddetta normativa stabilisce che gli accordi tra datore di
lavoro e lavoratore, volti a regolamentare questa modalità operativa, devono
includere specifiche misure tecniche e organizzative necessarie per garantire
la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche utilizzate a fini
lavorativi. Questo principio ha trovato un ulteriore consolidamento con
l’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 13 marzo 2021, n. 30, convertito
con modificazioni dalla legge 6 maggio 2021, n. 61. Tale norma sancisce il
diritto del lavoratore agile a disconnettersi dalle piattaforme informatiche e
dagli strumenti tecnologici, nel rispetto degli accordi eventualmente
sottoscritti e fatta salva la possibilità di periodi di reperibilità
concordati. Inoltre, si specifica che l’esercizio di tale diritto,
indispensabile per tutelare il riposo e la salute del lavoratore, non deve
comportare alcuna penalizzazione sul piano contrattuale o retributivo.
Tuttavia, queste disposizioni
presentano due limiti significativi. In primo luogo, la loro
applicazione è demandata agli accordi tra le parti, spesso caratterizzati da un
rapporto di forza squilibrato. In secondo luogo, la normativa riguarda
esclusivamente il lavoro agile, escludendo tutte le altre categorie di lavoratori
che, di fatto, utilizzano abitualmente strumenti telematici nello svolgimento
delle loro mansioni.
In tale contesto, risulta
utile richiamare l’art. 2087 c.c. che impone all’imprenditore di adottare tutte
le misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la
tecnica, per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei
lavoratori. Questa norma, sebbene di carattere generale, è stata interpretata
dalla giurisprudenza come uno strumento essenziale per garantire la salute e la
sicurezza dei lavoratori, anche in relazione a rischi emergenti. In
merito, la Corte di Cassazione ha chiarito che: “L’art. 2087 c.c. non configura
un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore
di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti
da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del
momento” (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 2038/2013). Questo principio evidenzia che
l’obbligo dell’imprenditore si estende a tutte le situazioni che possono
compromettere la salute psicofisica dei lavoratori, incluse quelle derivanti
dall’uso intensivo di strumenti digitali e dalla mancanza di disconnessione.
Risulta particolarmente
rilevante, inoltre, quanto affermato dal Presidente del Collegio del Garante
per la protezione dei dati personali durante un’audizione del 13 maggio
2020. Il Garante ha sottolineato la necessità di garantire con maggiore
incisività il diritto alla disconnessione, senza il quale si rischierebbe di
annullare la distinzione tra sfera privata e attività lavorativa, minando così
alcune delle più consolidate conquiste del lavoro tradizionale. Inoltre, il
Garante ha posto l’accento sull’importanza di evitare che i datori di lavoro utilizzino
strumenti tecnologici dotati di funzionalità atte a esercitare un monitoraggio
sistematico e invasivo delle attività dei dipendenti. Ciò evidenzia la duplice
esigenza di salvaguardare il diritto alla disconnessione e di prevenire un uso
eccessivo e non regolamentato del potere di controllo da parte del datore di
lavoro.
Il cuore del disegno di legge
è la previsione di un minimo di 12 ore consecutive di disconnessione
giornaliera, con limitate eccezioni legate a urgenze specifiche, che devono
essere adeguatamente motivate e remunerate come lavoro straordinario. Inoltre, il
testo prevede l’obbligo per i datori di lavoro di informare i dipendenti sulle
modalità di esercizio del diritto e di fornire, per le imprese con oltre 15
dipendenti, gli strumenti digitali necessari al lavoro senza oneri per i
lavoratori.
La relazione al disegno di
legge sottolinea l’urgenza di intervenire per evitare fenomeni sempre più
diffusi come il tecnostress e il burnout, effetti collaterali
dell’iperconnessione lavorativa. Il legislatore evidenzia l’importanza di
un equilibrio tra innovazione tecnologica e benessere del lavoratore,
richiamando esperienze internazionali e ribadendo l’assenza di una disciplina europea
uniforme.
A colpire è l’intento di
estendere il diritto anche ai lavoratori autonomi, categoria spesso esclusa da
simili tutele. Questo segna un passaggio significativo, poiché riconosce che la
vulnerabilità al sovraccarico tecnologico non riguarda solo i dipendenti
tradizionali, ma anche chi opera in contesti professionali meno regolamentati.
Ai sensi dell’art. 4, difatti:
“gli ordini professionali e le associazioni professionali di cui di cui
all'articolo 2, della legge 14 gennaio 2013, n. 4, provvedono, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, all'adeguamento dei
rispettivi codici deontologici”.
Nonostante le buone intenzioni, il disegno di legge solleva alcuni interrogativi. Innanzitutto, l’effettività della norma dipenderà in gran parte dalla sua applicazione pratica.
Le sanzioni
previste, benché significative (fino a 3.000 Euro), potrebbero non
essere sufficienti a garantire il rispetto delle regole in contesti lavorativi
complessi o scarsamente regolamentati. Inoltre, l’estensione ai lavoratori
autonomi richiederà un’attenta definizione delle modalità operative, per
evitare che il diritto alla disconnessione rimanga una mera dichiarazione di
principio.
Un altro aspetto critico
riguarda l’equità tra diverse categorie di lavoratori. L’enfasi
sugli accordi collettivi rischia di favorire settori con una forte
rappresentanza sindacale, lasciando scoperti quei lavoratori che operano in
contesti meno strutturati o in condizioni di maggiore isolamento professionale.
Nonostante queste criticità,
il DDL S. 1290 rappresenta un passo importante verso una regolamentazione più
equilibrata del lavoro digitale. Il riconoscimento
legislativo del diritto alla disconnessione non è solo un’innovazione
normativa, ma anche un segnale culturale: promuove l’idea che il benessere
del lavoratore debba essere tutelato al pari della produttività aziendale.
Perché questa norma abbia un
impatto reale, sarà fondamentale accompagnarla con interventi di
sensibilizzazione e formazione, nonché con una costante verifica della sua
applicazione. Solo così si potrà garantire che il progresso tecnologico
diventi un alleato, e non un nemico, della qualità della vita.
Dunque, il diritto alla
disconnessione, nella sua formulazione proposta dal DDL S. 1290, pur con gli
evidenziati limiti ed aspetti critici, ha il potenziale per diventare un
modello di riferimento in Europa.
La sua approvazione potrebbe
segnare una svolta nella cultura del lavoro, dimostrando che il rispetto per il
tempo libero e il benessere psicofisico dei lavoratori è un valore irrinunciabile
in una società che ambisce a un progresso sostenibile e inclusivo.