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Il “diritto alla disconnessione” nel disegno di legge S. 1290. Prospettive ed effettività di tutela nel quadro normativo.

20/01/2025

A cura dell'avv. Paolo La Manna

Negli ultimi anni il mondo del lavoro ha subito trasformazioni radicali, spinte dall’adozione di strumenti digitali che hanno reso i confini tra vita privata e professionale sempre più labili. La pandemia di COVID-19 ha accelerato questa tendenza, portando alla diffusione del lavoro agile e a un maggiore utilizzo delle tecnologie per la comunicazione e la produttività. Tuttavia, questa evoluzione ha evidenziato un problema significativo: l’invasività della connessione costante.

Il disegno di legge S. 1290, presentato al Senato nella XIX Legislatura, cerca di affrontare questa criticità introducendo il diritto alla disconnessione, una tutela che mira a garantire ai lavoratori il rispetto dei tempi di riposo e la possibilità di non rispondere a comunicazioni lavorative al di fuori dell’orario stabilito.

La normativa proposta si inserisce in un contesto europeo in cui il tema ha già trovato spazio in Paesi come Francia, nell’ambito della “Loi du Travail”, Spagna e Belgio, e in una risoluzione del Parlamento Europeo, la n. 2019/2181 (INL), del 21 gennaio 2021, ove, nelle premesse, è sancito che “…il diritto alla disconnessione è un diritto fondamentale che costituisce una parte inseparabile dei nuovi modelli di lavoro della nuova era digitale; …tale diritto dovrebbe essere considerato un importante strumento della politica sociale a livello dell'Unione al fine di garantire la tutela dei diritti di tutti i lavoratori;…l diritto alla disconnessione è particolarmente importante per i lavoratori più vulnerabili e per quelli con responsabilità di assistenza”. In buona sostanza, il diritto alla disconnessione viene identificato come fondamentale per i nuovi modelli lavorativi.

Ciò nonostante, attualmente, non esiste un quadro normativo a livello europeo che definisca e disciplini esplicitamente il diritto alla disconnessione. Tuttavia, la Direttiva sull'orario di lavoro (2003/88/CE) prevede diritti correlati, come i periodi minimi di riposo giornaliero e settimanale, fondamentali per tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori. Questo diritto è strettamente connesso al raggiungimento di un miglior equilibrio tra vita lavorativa e privata, obiettivo centrale di recenti iniziative europee, come i Principi 9 (work-life balance) e 10 (healthy, safe and well-adapted work environment and data protection) del Pilastro europeo dei diritti sociali, e la direttiva sull'equilibrio tra vita professionale e privata per genitori e prestatori di assistenza. Sebbene non trattino specificamente il diritto alla disconnessione, queste norme ne sottolineano l'importanza. Inoltre, gli articoli 153 e 154 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) potrebbero costituire la base giuridica per l’adozione di direttive che stabiliscano requisiti minimi e supportino gli Stati membri nella regolamentazione delle condizioni di lavoro.

Nell’ordinamento interno il diritto alla disconnessione è stato formalmente introdotto per la prima volta con la legge 22 maggio 2017, n. 81, che disciplina il lavoro agile. L’articolo 19 della suddetta normativa stabilisce che gli accordi tra datore di lavoro e lavoratore, volti a regolamentare questa modalità operativa, devono includere specifiche misure tecniche e organizzative necessarie per garantire la disconnessione dalle strumentazioni tecnologiche utilizzate a fini lavorativi. Questo principio ha trovato un ulteriore consolidamento con l’articolo 2, comma 1-ter, del decreto-legge 13 marzo 2021, n. 30, convertito con modificazioni dalla legge 6 maggio 2021, n. 61. Tale norma sancisce il diritto del lavoratore agile a disconnettersi dalle piattaforme informatiche e dagli strumenti tecnologici, nel rispetto degli accordi eventualmente sottoscritti e fatta salva la possibilità di periodi di reperibilità concordati. Inoltre, si specifica che l’esercizio di tale diritto, indispensabile per tutelare il riposo e la salute del lavoratore, non deve comportare alcuna penalizzazione sul piano contrattuale o retributivo.

Tuttavia, queste disposizioni presentano due limiti significativi. In primo luogo, la loro applicazione è demandata agli accordi tra le parti, spesso caratterizzati da un rapporto di forza squilibrato. In secondo luogo, la normativa riguarda esclusivamente il lavoro agile, escludendo tutte le altre categorie di lavoratori che, di fatto, utilizzano abitualmente strumenti telematici nello svolgimento delle loro mansioni.

In tale contesto, risulta utile richiamare l’art. 2087 c.c. che impone all’imprenditore di adottare tutte le misure necessarie, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori. Questa norma, sebbene di carattere generale, è stata interpretata dalla giurisprudenza come uno strumento essenziale per garantire la salute e la sicurezza dei lavoratori, anche in relazione a rischi emergenti. In merito, la Corte di Cassazione ha chiarito che: “L’art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento” (Cass. Civ., Sez. Lav., n. 2038/2013). Questo principio evidenzia che l’obbligo dell’imprenditore si estende a tutte le situazioni che possono compromettere la salute psicofisica dei lavoratori, incluse quelle derivanti dall’uso intensivo di strumenti digitali e dalla mancanza di disconnessione.

Risulta particolarmente rilevante, inoltre, quanto affermato dal Presidente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali durante un’audizione del 13 maggio 2020. Il Garante ha sottolineato la necessità di garantire con maggiore incisività il diritto alla disconnessione, senza il quale si rischierebbe di annullare la distinzione tra sfera privata e attività lavorativa, minando così alcune delle più consolidate conquiste del lavoro tradizionale. Inoltre, il Garante ha posto l’accento sull’importanza di evitare che i datori di lavoro utilizzino strumenti tecnologici dotati di funzionalità atte a esercitare un monitoraggio sistematico e invasivo delle attività dei dipendenti. Ciò evidenzia la duplice esigenza di salvaguardare il diritto alla disconnessione e di prevenire un uso eccessivo e non regolamentato del potere di controllo da parte del datore di lavoro.

Il cuore del disegno di legge è la previsione di un minimo di 12 ore consecutive di disconnessione giornaliera, con limitate eccezioni legate a urgenze specifiche, che devono essere adeguatamente motivate e remunerate come lavoro straordinario. Inoltre, il testo prevede l’obbligo per i datori di lavoro di informare i dipendenti sulle modalità di esercizio del diritto e di fornire, per le imprese con oltre 15 dipendenti, gli strumenti digitali necessari al lavoro senza oneri per i lavoratori.

La relazione al disegno di legge sottolinea l’urgenza di intervenire per evitare fenomeni sempre più diffusi come il tecnostress e il burnout, effetti collaterali dell’iperconnessione lavorativa. Il legislatore evidenzia l’importanza di un equilibrio tra innovazione tecnologica e benessere del lavoratore, richiamando esperienze internazionali e ribadendo l’assenza di una disciplina europea uniforme.

A colpire è l’intento di estendere il diritto anche ai lavoratori autonomi, categoria spesso esclusa da simili tutele. Questo segna un passaggio significativo, poiché riconosce che la vulnerabilità al sovraccarico tecnologico non riguarda solo i dipendenti tradizionali, ma anche chi opera in contesti professionali meno regolamentati.

Ai sensi dell’art. 4, difatti: “gli ordini professionali e le associazioni professionali di cui di cui all'articolo 2, della legge 14 gennaio 2013, n. 4, provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, all'adeguamento dei rispettivi codici deontologici”.

Nonostante le buone intenzioni, il disegno di legge solleva alcuni interrogativi. Innanzitutto, l’effettività della norma dipenderà in gran parte dalla sua applicazione pratica.

Le sanzioni previste, benché significative (fino a 3.000 Euro), potrebbero non essere sufficienti a garantire il rispetto delle regole in contesti lavorativi complessi o scarsamente regolamentati. Inoltre, l’estensione ai lavoratori autonomi richiederà un’attenta definizione delle modalità operative, per evitare che il diritto alla disconnessione rimanga una mera dichiarazione di principio.

Un altro aspetto critico riguarda l’equità tra diverse categorie di lavoratori. L’enfasi sugli accordi collettivi rischia di favorire settori con una forte rappresentanza sindacale, lasciando scoperti quei lavoratori che operano in contesti meno strutturati o in condizioni di maggiore isolamento professionale.

Nonostante queste criticità, il DDL S. 1290 rappresenta un passo importante verso una regolamentazione più equilibrata del lavoro digitale. Il riconoscimento legislativo del diritto alla disconnessione non è solo un’innovazione normativa, ma anche un segnale culturale: promuove l’idea che il benessere del lavoratore debba essere tutelato al pari della produttività aziendale.

Perché questa norma abbia un impatto reale, sarà fondamentale accompagnarla con interventi di sensibilizzazione e formazione, nonché con una costante verifica della sua applicazione. Solo così si potrà garantire che il progresso tecnologico diventi un alleato, e non un nemico, della qualità della vita.

Dunque, il diritto alla disconnessione, nella sua formulazione proposta dal DDL S. 1290, pur con gli evidenziati limiti ed aspetti critici, ha il potenziale per diventare un modello di riferimento in Europa.

La sua approvazione potrebbe segnare una svolta nella cultura del lavoro, dimostrando che il rispetto per il tempo libero e il benessere psicofisico dei lavoratori è un valore irrinunciabile in una società che ambisce a un progresso sostenibile e inclusivo.