A cura dell'Avv. Paolo La Manna
Il nuovo Codice dei contratti
pubblici (D. Lgs. 36/2023) ha riorganizzato la disciplina della proroga
contrattuale (opzione di proroga) e della cd. proroga tecnica,
normando i due istituti separatamente nel comma 10 e nel comma 11 dell’art.
120.
In base al nuovo Codice:
(i) il comma 10 dell’art. 120 stabilisce che la proroga contrattuale è una circostanza negoziale già preventivata tra le parti contraenti nella lex specialis o nel contratto (ed infatti è significativamente definita dal Codice come “opzione di proroga”). In tale caso le prestazioni rese in regime di proroga sono svolte alle stesse condizioni o, se espressamente previsto, anche a condizioni più favorevoli per l’Amministrazione. La proroga contrattuale può essere disposta per una durata che ha come limite il termine espressamente stabilito nella lex specialis o nel contratto;
(ii) il comma 11 dell’art. 120 stabilisce che la cd. proroga tecnica può invece essere disposta solo nelle ipotesi eccezionali in cui, nelle more della conclusione di una nuova procedura di gara già indetta, vi sia la necessità per l’Amministrazione di garantire la continuità di una prestazione essenziale.
In particolare, la proroga tecnica è ammissibile solo alle seguenti determinate condizioni normativamente previste:
- “in casi eccezionali nei quali risultino oggettivi e insuperabili ritardi nella conclusione della procedura di affidamento del contratto”;
- “per il tempo strettamente necessario alla conclusione della procedura”;
- “qualora l'interruzione delle prestazioni possa determinare situazioni di pericolo per persone, animali, cose, oppure per l'igiene pubblica, oppure nei casi in cui l'interruzione della prestazione dedotta nella gara determinerebbe un grave danno all'interesse pubblico che è destinata a soddisfare”.
La proroga tecnica,
secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, sez. V, 29
maggio 2019, n. 3588), deve essere considerata come una misura eccezionale,
adottabile esclusivamente per garantire la continuità del servizio nelle more
di una nuova procedura di gara, e non può essere utilizzata per mascherare
un rinnovo tacito. L’esigenza è, quindi, quella di limitare le proroghe al
tempo strettamente necessario per superare gli ostacoli che impediscono il
tempestivo espletamento della gara.
Ne discende che una proroga
tecnica astrattamente illegittima - in quanto derivante, ad esempio, da una
colpevole inerzia del dipendente pubblico - troverebbe legittimità laddove non
disporla comporterebbe per l’interesse pubblico un maggior danno rispetto a
quello che si verificherebbe disponendola. Resta, tuttavia, aperto, in questo
caso, il tema di una eventuale responsabilità erariale per il dipendente
pubblico che abbia ingenerato la necessità di una tale proroga.
Da tempo la
giurisprudenza ha chiarito ulteriormente la distinzione tra rinnovo e proroga.
Il primo consiste in una “rinegoziazione del complesso delle condizioni del
contratto originario, per cui deve risultare che le parti, attraverso
specifiche manifestazioni di volontà, abbiano dato corso a distinti, nuovi ed
autonomi rapporti giuridici”; la proroga, invece, consiste nel mero “differimento
del termine finale del rapporto, che per il resto continua ad essere regolato
dall'atto originario” (TAR Campania, Napoli, V, 1.3.2023, n. 1318).
Il rinnovo contrattuale si
contraddistingue, sul piano sostanziale, per la rinegoziazione del complesso
delle condizioni del contratto originario, per cui deve risultare che le parti,
attraverso specifiche manifestazioni di volontà, abbiano dato corso a distinti,
nuovi ed autonomi rapporti giuridici, ancorché di contenuto analogo a quello
originario; in assenza di tale negoziazione novativa, è qualificabile come
proroga contrattuale l’accordo con cui le parti si limitano a pattuire il
differimento del termine finale del rapporto, che per il resto continua ad
essere regolato dall’atto originario; ed anche la circostanza che in tale
accordo sia riportato il prezzo del contratto originario, che quindi rimane
immutato, non costituisce affatto espressione di rinnovata volontà negoziale,
ma circostanza idonea ad avvalorare ulteriormente l’intervenuta mera proroga
del previgente contratto” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 24 marzo 2022, n. 2157;
Cons. Stato, sez. V, 16.02.2023 n. 1635).
Il divieto di rinnovo
tacito dei contratti pubblici, ancorché piuttosto dibattuto in dottrina e
giurisprudenza, con tesi talvolta contrastanti, rappresenta un principio
cardine nell’ordinamento amministrativo italiano, riflettendo l'esigenza di
garantire trasparenza e concorrenza nella gestione dei
rapporti contrattuali della Pubblica Amministrazione (P.A.). Tale divieto
trova fondamento sia nella normativa interna che nei principi del
diritto dell’Unione Europea, entrambi orientati a prevenire prassi che
sottraggano i contratti pubblici alle regole competitive del mercato.
Sia l’ANAC che la
giurisprudenza amministrativa si sono confrontati sulla effettiva portata ed
operatività del rinnovo dei contratti della P.A. all’interno dell’ordinamento
italiano, affiancando a tale istituto quello della citata “proroga tecnica”, la
quale rappresenta una deroga residuale e straordinaria al divieto di rinnovo.
Il principale riferimento
normativo è l’art. 6 della legge 24 dicembre 1993, n. 537, come sostituito
dall’art. 44 della legge n. 724 del 23 dicembre 1994, modificato poi al comma 2
dall’art. 23 della legge n. 62 del 18 aprile 2005, poi abrogato dall’art. 256
del decreto legislativo n. 163 del 12 aprile 2006. La norma vieta
espressamente il rinnovo tacito dei contratti per la fornitura di beni e
servizi alla P.A., stabilendo che i contratti stipulati in violazione di tale
divieto sono da considerarsi nulli.
Il legislatore ha introdotto
questo principio per tutelare l’interesse pubblico, prevenendo la perpetuazione
di rapporti contrattuali che, con il tempo, potrebbero deteriorarsi in termini
di qualità delle prestazioni, a causa degli aumenti dei costi di produzione non
adeguatamente compensati.
La giurisprudenza ha chiarito che il divieto di rinnovo tacito dei contratti risponde a una duplice finalità:
- Tutela della qualità delle prestazioni: come riconosciuto dalla giurisprudenza (Cons. Stato, Sez. V, 2 novembre 2009, n. 6709; Cons. Stato, Sez. III, 1 febbraio 2012, n. 504), tale divieto mira a prevenire un eventuale deterioramento della qualità delle prestazioni fornite dagli appaltatori. Questo rischio sorge nel tempo, quando l'aumento dei costi di produzione potrebbe non essere compensato dal corrispettivo contrattuale, portando a una diminuzione della qualità del servizio offerto. La norma ha natura imperativa e si applica in combinato disposto con gli articoli 1339 e 1419 del Codice civile, in merito alla nullità parziale dei contratti e all’inserzione automatica delle clausole.
- Tutela della concorrenza: la proroga automatica dei contratti sottrae il bene o servizio oggetto di appalto alle logiche del mercato, eludendo il principio della concorrenza. La giurisprudenza ha sempre evidenziato che il principio di evidenza pubblica è un canone fondamentale nell’attività contrattuale della P.A., e il rinnovo tacito comprometterebbe questo fondamento (Cons. Stato, Sez. V, 22 dicembre 2014, n. 6275).
Dunque, la giurisprudenza ha
più volte evidenziato come il divieto di rinnovo tacito risponda alla necessità
di mantenere un costante controllo sulla qualità delle prestazioni erogate,
evitando che le variazioni nei costi dei fattori di produzione compromettano la
capacità dei fornitori di adempiere correttamente ai propri obblighi. Il
principio di trasparenza, inoltre, è strettamente legato a quello di
concorrenza: solo attraverso una periodica riapertura al mercato è possibile
garantire che le condizioni contrattuali rimangano adeguate e competitive. In
quest’ottica, il rinnovo tacito rappresenta un ostacolo al fisiologico ricambio
degli operatori economici e all’emergere di nuove soluzioni o proposte
migliorative.
A livello europeo,
questo divieto riflette i fondamentali principi della normativa sugli appalti
pubblici sanciti dalle direttive UE (in particolare, le Direttive
2014/24/UE e 2014/25/UE), che richiedono che la stipulazione e il rinnovo dei
contratti avvengano attraverso procedure di public procurement
aperte e trasparenti. Le regole europee mirano a evitare che il rinnovo
automatico dei contratti possa costituire un aggiramento del mercato unico,
compromettendo la libera circolazione dei servizi e ostacolando l'accesso agli
appalti pubblici da parte di nuovi concorrenti.
Nel contesto italiano, il
divieto viene rafforzato dall’applicazione dei principi dell’interesse pubblico,
che richiedono che le amministrazioni pubbliche garantiscano l’efficienza e
l'efficacia della spesa, monitorando costantemente la qualità e la
convenienza economica delle prestazioni acquisite. Questo si traduce nella
necessità di bandire nuove gare a scadenza dei contratti, aprendo il mercato a
offerte più competitive e aggiornate.
Negli ultimi anni, le
pronunce giurisprudenziali hanno ulteriormente consolidato l’importanza del divieto
di rinnovo tacito, ampliandone la portata applicativa. La sentenza del
Consiglio di Stato n. 1626/2023 rappresenta un momento significativo di questa
evoluzione. Nella vicenda esaminata, l’Autorità Portuale di Venezia aveva
prorogato in via provvisoria la gestione di alcune strutture di approdo alla
società Nethun S.p.A., in attesa di una nuova gara. Il Collegio ha ritenuto
tale proroga illegittima, ribadendo che la proroga tecnica è l’unica
forma di proroga consentita in materia di contratti pubblici e può essere
utilizzata solo in presenza di “oggettivi e insuperabili ritardi nella
conclusione della nuova gara non imputabili alla stazione appaltante”
Il divieto di rinnovo tacito
dei contratti pubblici assume, quindi, un ruolo cruciale nel garantire il
corretto funzionamento delle dinamiche di mercato e il rispetto dei principi di
legalità, trasparenza e parità di trattamento. L'evoluzione normativa e
giurisprudenziale ha consolidato tale divieto come un pilastro dell’attività
contrattuale della P.A., consentendo eccezioni solo in casi estremamente
circoscritti e regolati. La proroga tecnica, ammessa solo in presenza di
ritardi oggettivi e non imputabili all’amministrazione, è una misura residuale
che non può essere strumentalizzata per aggirare le regole della concorrenza e
del mercato. L’interesse pubblico, tutelato sia a livello nazionale che
europeo, impone il ricorso a procedure ad evidenza pubblica per garantire una
gestione efficiente e trasparente dei contratti pubblici.