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Tutela della maternità e licenziamento discriminatorio alla luce dei principi nazionali ed europei

17/06/2024

A cura dell'avv. Giuseppe Perillo

Il recente vertice intergovernativo tenutosi in Italia ha rappresentato un'occasione significativa per rilanciare il dibattito sui temi della maternità. La decisione del Governo italiano di non accogliere la richiesta di inserire nel comunicato finale un riferimento alla delicata e controversa questione dell’interruzione volontaria di gravidanza, sollecitata da alcuni paesi come Francia e Canada, ha suscitato vive polemiche. Questo acceso dibattito si colloca nel contesto della recente riforma costituzionale in Francia, che ha elevato a rango costituzionale (art. 34) il relativo diritto pochi mesi fa.

Meno controverso e maggiormente condiviso in sede europea, nonostante le diverse sensibilità nazionali, è invece il diritto dei genitori a ricevere una tutela più incisiva sul luogo di lavoro. Questo include il contrasto al fenomeno odioso del licenziamento discriminatorio per ragioni legate alla gravidanza e la promozione di una migliore conciliazione tra tempi di lavoro ed esigenze della vita familiare.

Tali diritti derivano il loro fondamento dall’art. 33 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, architrave del sistema europeo di protezione (ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione europea e dell’art. 53 della stessa Carta) al quale concorrono plurime fonti verso l’unico obiettivo di assicurare la massima tutela possibile dei diritti fondamentali. Questi ultimi costituiscono l’oggetto della Carta proclamata a Nizza e adattata a Strasburgo che, con il Trattato di Lisbona, ha assunto il valore giuridico dei trattati; essi sono salvaguardati dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo al cui sistema giurisdizionale l’Unione ha dichiarato di aderire.

Venendo all’oggetto della presente disamina, l’art. 33 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE sancisce testualmente: È garantita la protezione della famiglia sul piano giuridico, economico e sociale. Al fine di poter conciliare vita familiare e vita professionale, ogni persona ha il diritto di essere tutelata contro il licenziamento per un motivo legato alla maternità e il diritto a un congedo di maternità retribuito e a un congedo parentale dopo la nascita o l’adozione di un figlio”.

In attuazione dei principi richiamati, il legislatore europeo, pur in presenza di un fenomeno complesso e variegato che riflette diverse sensibilità culturali, sociali e nazionali, è riuscito a trovare un minimo comune denominatore con l’approvazione della direttiva (UE) 2019/1158, adottata dal Parlamento Europeo e dal Consiglio il 20 giugno 2019. La direttiva è stata recepita nel nostro ordinamento con l’approvazione del D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105. Scopo primario della disposizione normativa è quello di promuovere un maggiore equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, ribadendo ed ulteriormente specificando il divieto di licenziamento della donna lavoratrice in gravidanza. Il decreto prevede disposizioni per migliorare la conciliazione tra attività lavorativa e vita privata per i genitori e i prestatori di assistenza, al fine di conseguire la condivisione delle responsabilità di cura tra uomini e donne e la parità di genere in ambito lavorativo e familiare. Salvo che sia diversamente specificato, le sue previsioni si applicano anche ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ferme restando le eventuali indicazioni operative fornite dal competente Dipartimento della Funzione Pubblica (Circolare I.N.P.S. n. 122 del 27-10-2022).

Più precisamente, l’articolo 2 del menzionato decreto legislativo apporta una serie di modifiche al decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, novellando la disciplina in materia di congedo di maternità e di paternità (articoli 2, 18, 27-bis, 28, 29, 30 e 31-bis), di congedo parentale e di riposi, permessi e congedi (articoli 32, 34, 36, 38, 42 e 46), di congedi per la malattia del figlio (articolo 52), di lavoro notturno (articolo 53), ribadendo ed ulteriormente specificando il divieto di licenziamento (articolo 54) e il diritto al rientro e conservazione del posto (articolo 56).

La giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di consolidare un orientamento del tutto conforme alla ratio ispiratrice del descritto quadro normativo. Con sentenza n. 5476 Cassazione Civile, Sez. Lav., del 26 febbraio 2021, la Suprema Corte ha accolto il ricorso di una lavoratrice che si riteneva ingiustamente discriminata in quanto licenziata per ragioni connesse al suo stato di gravidanza. Nel dettaglio, la Suprema Corte ha esaminato il caso del mancato rinnovo di un contratto a termine a una lavoratrice in gravidanza, qualificandolo come discriminazione diretta ed enucleando la seguente massima: costituisce discriminazione di genere diretta la decisione datoriale di non rinnovare a una lavoratrice il contratto a tempo determinato per ragioni collegate al suo stato di gravidanza, qualora risulti che il datore abbia contestualmente concesso il rinnovo del contratto a tutti i colleghi in analoghe condizioni contrattuali.

Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha più volte richiamato i principi espressi a seguito di casi sottoposti all’esame della Corte di Giustizia Europea, in ordine all'applicazione delle norme di tutela nel periodo di maternità. Una pietra miliare, in questo senso, è la vicenda che riguardava una cittadina dell’Unione Europea, membro del consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata lettone, alla quale l’assemblea dei soci revocava le funzioni apparentemente in ragione dello stato di gravidanza. La Corte ha valutato la posizione del membro del consiglio alla luce delle modalità di espletamento dell’incarico all’interno della società. La Corte ha ritenuto che un membro di un consiglio di amministrazione di una società di capitali, che fornisca prestazioni alla società e che ne formi parte integrante, debba essere considerato “lavoratore” ai fini dell’applicazione della direttiva comunitaria 92/85/CEE, concernente l’attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento. In un lungo e complesso excursus giuridico, la Corte di Giustizia Europea ha affermato che il divieto di licenziamento, operante dall’inizio della gravidanza al termine del congedo di maternità, trova applicazione anche qualora l’incarico di membro del consiglio di amministrazione di una società di capitali sia svolto in virtù di un mandato revocato in ragione dello stato di gravidanza. Infatti, la nozione di “lavoratore” ai sensi della direttiva non può essere interpretata in vario modo con riferimento agli ordinamenti nazionali, ma dev’essere definita in base a criteri obiettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi delle persone interessate (Sentenza C-232/09 dell’11 novembre 2010).

In conclusione, può dirsi che il recente vertice intergovernativo in Italia ha catalizzato un dibattito intenso sui diritti legati alla maternità, evidenziando la complessità e la varietà di sensibilità culturali e sociali tra i paesi membri dell'Unione Europea. Mentre la decisione di non inserire nel comunicato finale un riferimento all'interruzione volontaria di gravidanza ha sollevato polemiche, è emerso un ampio consenso riguardo alla necessità di tutelare i genitori sul luogo di lavoro. Fondato sull’art. 33 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, questo diritto si è concretizzato nella direttiva (UE) 2019/1158, recepita nell'ordinamento italiano con il D. Lgs. 30 giugno 2022, n. 105, che mira a promuovere equilibrio tra vita professionale e familiare. La giurisprudenza europea ha ulteriormente sottolineato l'importanza di proteggere le lavoratrici in gravidanza da discriminazioni, confermando che il divieto di licenziamento si estende per tutto il periodo della maternità. Questi sviluppi giuridici riflettono un impegno comune verso la parità di genere e il rispetto dei diritti fondamentali nell'ambito lavorativo e familiare, consolidando un quadro normativo che mira a garantire giustizia e uguaglianza per tutti.