A cura dell'avv. Giuseppe Perillo
Sono state ritenute degne di
integrale accoglimento dal Tribunale di Vallo della Lucania le difese svolte
dallo studio in difesa di un professionista che si era visto negare il diritto di
credito sul presupposto, rivelatosi poi infondato, di non aver correttamente adempiuto
l’incarico professionale ricevuto. Oggetto del medesimo era stata l’attività di
progettazione di uno stabilimento balneare in un Comune della costiera
cilentana, in esecuzione di una convenzione scritta particolarmente articolata
intercorsa tra un imprenditore, nelle vesti di committente, ed uno studio
professionale di cui era titolare un architetto, avente studio e prevalente attività
nel Cilento.
Il professionista si era
visto costretto ad azionare la tutela monitoria in quanto si era visto negare
il compenso pattuito con il committente. Questi non solo contestava la pretesa
creditoria ma nel contempo lamentava, in sede di opposizione a D.I., l’inadempimento
del professionista, per aver egli predisposto un progetto giudicato
irrealizzabile. L’imprenditore committente spiegava, all’uopo, domanda
riconvenzionale al fine di accertare l’inadempimento del professionista, e
conseguentemente condannarlo alla restituzione della somma di € 5.000,00
versata a titolo di acconto.
In primo luogo, la
difesa del professionista faceva rilevare come, sulla scorta anche di quanto
emerso in sede di C.T.U., l’attiva svolta dall’architetto fosse del tutto
esente da censure nonché scevra da errori progettuali.
Doveva, pertanto, trovare
applicazione il principio, recepito dalla giurisprudenza di legittimità,
secondo cui l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c. può essere
legittimamente opposta dal committente al professionista solo nel caso in cui questi abbia violato l’obbligo di diligenza
professionale, attuando una condotta negligente causativa di un effettivo
danno, corrispondente al mancato riconoscimento di una pretesa con tutta probabilità
fondata (Ord. Cass. 21 giugno 2018, n. 16342).
In secondo luogo, quanto
alla pretesa irrealizzabilità del progetto e della relativa costruzione, faceva
rilevare che non vi era dubbio che il professionista aveva reso edotto il
cliente circa i vincoli e le difficoltà dell’opera.
Ciò nonostante, il
professionista riceveva l’autorizzazione alla progettazione da parte dell’imprenditore,
con il quale pattuiva un compenso in relazione al quale gli veniva corrisposto
un acconto di Euro 5.000,00. L’attività di progettazione affidata al
professionista, a dire della controparte, doveva e poteva servire, tra l’altro,
alla predisposizione di uno studio di fattibilità illustrativo delle
caratteristiche strutturali morfologiche e funzionali dell’opera, condizione
necessaria per richiedere all’ente proposto il rilascio di una concessione per
l’avvio di un’impresa nel campo dell’offerta turistica.
In terzo luogo, la
prestazione richiesta al professionista non era certo illegittima, in quanto la
domanda di concessione demaniale richiede, per sua natura, l’allegazione di un
progetto, la cui redazione era stata appunto richiesta al professionista.
Il progetto, difatti, in base
a quanto previsto dagli artt. 5 e 6 del Regolamento per l’esecuzione del Codice
della Navigazione, che disciplina le concessioni demaniali marittime, è parte
integrante della domanda di concessione demaniale, sicché un rifiuto da parte
del professionista (che l’opponente assumeva dovuto) avrebbe impedito all’imprenditore
di poter presentare domanda di concessione.
Sicché, come rilevato dal
C.T.U., il progetto redatto dal professionista riguardava un’opera
realizzabile, ovviamente previo rilascio della relativa concessione, per cui l’oggetto
della prestazione commissionata all’opposto era privo di aspetti ostativi all’esecuzione
dell’intervento programmato.
Chiamato a pronunciarsi in
merito al caso in esame, il Tribunale, in accoglimento delle difese svolte
dallo studio legale, respingeva la domanda riconvenzionale e con essa la
pretesa del committente di vedersi restituito l’acconto versato, adottando la
seguente condivisibile motivazione: “dalla
documentazione in atti si evince che in data 11.11.2008 Tizio conferiva
incarico all’arch. Caio di redigere il progetto per la realizzazione di uno
stabilimento balneare in località “…”; nella lettera di incarico venivano
indicate sia le modalità di esecuzione dell’incarico che il compenso spettante
al professionista. Inoltre, in tale documento si legge anche che: “il tipo di
progettazione richiesta dal committente si caratterizza per il fatto che lo
stabilimento deve esser realizzato su di un’area soggetta a vincolo, area sulla
quale attualmente non è possibile realizzare nessuna attività edilizia, cosa
che l’arch. Caio ha illustrato al committente portando a piena conoscenza di
tale problematica e della possibilità che i suddetti vincoli possono inficiare
il buon esito della pratica edilizia indipendentemente dall’impegno del
professionista”. Pertanto, il committente, a differenza di quanto affermato
sia nell’atto di opposizione che negli ulteriori scritti difensivi, era a
conoscenza della circostanza che l’area interessata dal progetto era soggetta a
vincoli e di conseguenza, risultava, di fatto “inedificabile”. A tal proposito
giova ricordare che “l’obbligazione del professionista consiste nel redigere un
progetto destinato all’esecuzione e, pertanto, realizzabile, pertanto, il
committente – in base al principio inadempienti non est adimplendum – ha
diritto di rifiutare il pagamento del compenso al professionista che abbia
fornito un’opera irrealizzabile” (Cass. SS. UU., 28 luglio 2005, n. 15781). In
particolare, qualora l’opera non sia realizzabile perché progettata in
violazione delle prescrizioni urbanistiche, l’opus sarà assolutamente inutile e
l’inadempimento dell’ingegnere sarà di norma configurabile ipso facto: è
indubbio, infatti, che sul professionista gravi l’obbligazione di provvedere
alla progettazione di un’opera conforme non soltanto alle norme stricto sensu
tecniche, ma anche alle norme giuridiche che disciplinano le modalità di
edificazione. Tuttavia, quando l’irrealizzabilità non sia conseguenza di
errori tali da rendere il progetto inidoneo ad essere attuato, ma sia dovuta a
richiesta ed istruzioni consapevoli del committente medesimo, debitamente
informato dall’ingegnere, quest’ultimo non potrà essere ritenuto inadempiente
(Cass. 19 agosto 2010, n. 18747), com’è avvenuto nel caso di specie. Alla luce
di ciò la domanda di risoluzione della convenzione di incarico per
inadempimento del professionista deve essere rigettata, in quanto dall’istruttoria
espletata è emerso che l’arch. Caio aveva eseguito la prestazione secondo le
indicazioni ricevute dall’imprenditore Tizio”.
Dirimente, dunque, ai fini
della decisione, il fatto che il professionista avesse ottemperato agli
obblighi informativi.
In sintesi, la Sentenza, in
applicazione del combinato disposto degli artt. 1176, 1218 e 1322 comma 2° c.c.
esprime la seguente massima: “l’irrealizzabilità dell’opera progettata,
quando sia conseguenza di errori commessi dal professionista nella formazione
dell’elaborato che lo rendano inidoneo ad essere attuato costituisce
inadempimento dell’incarico che abilita il committente a rifiutare il compenso;
quando, invece, ciò avvenga per uno specifico interesse del cliente, nell’esplicazione
del principio di autonomia contrattuale, la circostanza stessa non può essere
configurata come inadempimento del professionista agli obblighi legali e
contrattuali posti a suo carico e non può quindi comportare l’insussistenza
dell’obbligo del committente di corrispondergli il compenso. Il giudizio di
meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c. va compiuto avendo riguardo
allo scopo perseguito dalle parti, non già alla convenienza, chiarezza o
aleatorietà del contratto o delle sue clausole”.