A cura dell'avv. Giuseppe Perillo
Costituisce
un arcipelago quanto mai diffuso ed articolato anche nella nostra realtà
geografica quello delle imprese che eseguono lavorazioni “conto terzi”, spesso
a beneficio di rinomati marchi di rilievo nazionale ed internazionale nel campo
della moda (abbigliamento, calzature, borse ed accessori).
Un
fenomeno socio-economico in auge sin dalla fine degli anni ’70, studiato da
importanti analisti di oltreoceano (Porter) dovuto alla proliferazione dei
distretti industriali dal nordest all’area di Prato, al centro sud, passando
per le Marche e per la dorsale adriatica, riconosciuto dal legislatore solo
molto più tardi con l’entrata in vigore della Legge 18 giugno 1998, n. 192 (Disciplina
della subfornitura nelle attività produttive).
Giunge
dalla sezione lavoro del Tribunale di Prato un importante riconoscimento al complesso
e stratificato fenomeno socio-economico in favore dei lavoratori alle
dipendenze di imprese operanti “conto terzi” per effetto di una recente pronuncia
dell’11 marzo, con la quale (il G.L. dott.ssa Consai) ha ritenuto applicabile
anche all’organizzazione del lavoro del distretto tessile pratese una norma
prevista dall’art. 29 del D. Lgs. n. 276/2003 (c.d. attuativo della Legge
Biagi), così come riscritta dalla Legge n. 35/2012.
A
norma del secondo comma dell’art. 29
sopra citato si prevede che, salvo deroghe previste dalla contrattazione
collettiva “in caso di appalto di opere o di servizi, il committente
imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché
con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla
cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti
retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i
contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo
di esecuzione del contratto di appalto […]”.
Dottrina
e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che tale disposizione abbia
carattere speciale di maggior tutela del lavoratore rispetto alla quella
generale prevista nel Codice civile per il contratto di appalto (art. 1676 c.c)
che limita la responsabilità solidale: “fino alla concorrenza con il
debito che il committente ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi
propongono la domanda”.
Nel
tempo si erano, tuttavia, sedimentate non poche problematiche relative all’applicazione
dell’art. 29 del D.Lgs. n. 276/2003 specie nei casi, molto frequenti
nell’esperienza quotidiana, in cui le imprese “terziste” ogni giorno effettuano
lavorazioni o servizi per una molteplicità di committenti. In tali evenienze, riuscire
ad attribuire a ciascun committente la quota di trattamento retributivo, per
cui esso diviene responsabile in solido nei confronti del lavoratore che abbia
concorso ad eseguire quello specifico contratto, non è sempre agevole. Nulla quaestio se, viceversa, l’appaltatore
gestisce un contratto per volta.
La
recente pronuncia del Tribunale di Prato ha sancito la responsabilità solidale
del committente per i crediti di lavoro vantati dagli operatori alle dipendenze
dell’impresa terzista che avevano concorso alla singola e specifica lavorazione
stabilendo che “la retribuzione oraria
può essere un corretto criterio per individuare quanto dovuto al lavoratore
nello svolgimento di un determinato appalto. Individuando dai prospetti quante
siano le ore lavorate per ciascun committente è possibile applicare l’art. 29
del D. Lgs n. 276/2003 anche al meccanismo delle lavorazioni tessili”.
Sicuramente
la sentenza del Tribunale di Prato apre nuovi scenari per il nostro panorama
imprenditoriale, con le imprese chiamate a scegliere con maggior attenzione i
propri appaltatori per evitare di dover rispondere dei loro debiti,
predisponendo con l’ausilio di legali specializzati clausole di responsabilità
sociale a propria salvaguardia, forme di tutela in linea con la disciplina di
settore e con la contrattazione collettiva.
Soprattutto, saranno i lavoratori ad avere maggiori garanzie di ottenere quanto di loro spettanza dal punto di vista retributivo e previdenziale. Questo, naturalmente, in via di prima approssimazione. Ogni caso concreto, infatti, deve essere studiato con attenzione prima di ricorrere in giudizio, tenendo conto dela possibilità di deroga alla normativa da parte dei Contratti collettivi, della facoltà del committente di eccepire, comunque, il beneficio di escussione dell’appaltatore e del termine di prescrizione biennale a far data dalla cessazione dell’appalto.
Tutt’altro che agevole, in un contesto come il nostro caratterizzato da relazioni particolarmente fluide, dirette ed informali, provare la responsabilità solidale del committente in rapporto alla singola lavorazione.