A cura dell'avv. Paolo La Manna
Due
colossi della gioielleria e del lusso hanno recentemente intrapreso una disputa
giudiziaria. Il 28 febbraio 2022, la multinazionale francese Cartier,
specializzata nella produzione di gioielli ed orologi di lusso e controllata
dalla holding svizzera Richemont, ha presentato un'azione legale innanzi alla Supreme Court of the State of New York contro la concorrente
statunitense Tiffany & Co. e l’ex dipendente Megan Marino.
Secondo
quanto affermato dalla Cartier, Marino sarebbe stata assunta da Tiffany per
divulgare informazioni riservate sulla collezione di Alta Gioielleria di
Cartier, chiamata "Blue Book", ai vertici del Merchandising
Team for High Jewelry di Tiffany.
Nel
novembre 2021, Marino aveva incontrato la vicepresidente del North America
Merchandising Team di Tiffany, Katie Liappas, per un colloquio conoscitivo
finalizzato all'assunzione nel dipartimento di High Jewelry.
Successivamente,
Marino avrebbe scaricato e inviato via email una serie di documenti contenenti
informazioni riservate sui prodotti della collezione di Alta Gioielleria di
Cartier dal proprio indirizzo di posta elettronica aziendale a quello
personale.
Dopo
aver ricevuto una proposta di lavoro da Tiffany, Marino avrebbe rassegnato le
dimissioni da Cartier senza rivelare di essere stata assunta da un'azienda
concorrente. Le dimissioni avevano insospettito alcuni dirigenti di Cartier,
che avevano visto diversi dipendenti lasciare l'azienda per passare alla
concorrente statunitense nel dicembre 2021.
L'azienda
francese aveva avviato un'indagine interna e aveva scoperto che Marino si era
appropriata indebitamente di informazioni riservate e segreti commerciali di
proprietà di Cartier, violando il "patto di non divulgazione"
della durata di sei mesi.
L'ufficio
legale di Cartier aveva contattato sia Marino per ottenere prove documentali
della distruzione delle informazioni riservate sia l'ufficio legale di Tiffany
& Co. per informare l'azienda della condotta fraudolenta di Marino. In
risposta a tali accuse, Tiffany aveva licenziato la neoassunta, Marino negando ogni
coinvolgimento nella vicenda.
Tuttavia,
secondo i legali di Cartier, Tiffany dovrebbe essere comunque ritenuta responsabile di
appropriazione indebita di informazioni riservate e segreti commerciali,
interferenza illecita nel patto di non divulgazione dell’ex dipendente,
interferenza illecita negli affari commerciali e concorrenza sleale.
Al
di là del quadro normativo statunitense dello Uniform Trade Secrets Act
(“UTSA”), emanato dalla Uniform Law Commission (ULC) nel 1985, che si
tralascerà ai fini della presente trattazione, Tiffany & Co. si è difesa
sostenendo, tra le varie deduzioni, inclusa quella secondo cui Cartier starebbe
solo cercando di ottenere il massimo valore pubblicitario dalla vicenda, di non
essere a conoscenza degli accordi confidenziali (“confidentiality agreements”)
precedentemente siglati da Cartier e la propria dipendente e, pertanto, di non
avere alcuna responsabilità rispetto alle asserite violazioni di questi ultimi.
Tale
vicenda consente di comprendere immediatamente il rilievo che assume la
salvaguardia delle informazioni confidenziali relative ai processi produttivi
ed organizzativi adottati da un’impresa,
soprattutto in determinati campi produttivi e commerciali caratterizzati da processi
tecnologici particolarmente avanzati, creativi ed
innovativi e da notevoli investimenti in ricerca e sviluppo (R&D),
in cui il know-how costituisce patrimonio intangibile ed asset
fondamentale dell’azienda.
L’art.
98 del C.P.I. - Codice della Proprietà Industriale (d.lgs. n. 30/2005) – così
come novellato dal D. Lgs. n. 63/2018, con cui l’ordinamento italiano ha
recepito ed implementato la Direttiva (UE) 2016/943, tutela, difatti, il “know-how” ed i segreti commerciali (o “trade secrets”).
Quindi,
la normativa vigente, in presenza di determinati presupposti, tutela le esperienze
tecnico-industriali. È necessario, difatti, che ricorrano alcune condizioni,
ossia che le informazioni:
“a) siano segrete, nel senso che non siano nel loro
insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi
generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del
settore;
b)
abbiano valore economico in quanto segrete;
c)
siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono
soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a
mantenerle segrete”.
Ove ricorrano i predetti presupposti, l’ordinamento giuridico riconosce al
titolare del know-how e dei segreti commerciali un ampio
portafoglio di diritti, tutelabili in giudizio, per proteggere il valore
intangibile della conoscenza da molteplici illeciti, tra cui l’acquisizione,
l’utilizzo e la divulgazione abusiva (art. 99 C.P.I.).
Aspetto peculiare della
disciplina sui segreti commerciali è che il titolare dei diritti di proprietà intellettuale,
a differenza di altri diritti IP oggetto di protezione, può godere della tutela
immediata degli stessi senza la necessità di registrare i propri diritti. La
tutela dei diritti, difatti, può essere fatta valere contro terzi che hanno
acquisito, rivelato o utilizzato in modo abusivo le informazioni protette, e la
durata della tutela non è limitata temporalmente o territorialmente, almeno
fino a quando le predette informazioni non diventano di pubblico dominio.
In tale circostanze, assumono
particolare rilievo, da un lato, i doveri di protezione che incombono all’amministratore
e la sua relativa responsabilità, ex art. 2392 del Codice Civile,
dovendo l’amministratore essere in grado di dimostrare in modo chiaro ed
inequivoco di aver adottato procedimenti aziendali complessi di “know-how
management”, imperniati su misure giuridiche, organizzative e tecniche,
atti a proteggere i segreti industriali, fondando la scelta delle policies
interne su analisi preventive dei rischi.
L’omissione del dovere di
proteggere il segreto commerciale, che possa compromettere l’integrità e il
valore del patrimonio sociale, da parte di un amministratore di una società, in
violazione degli obblighi richiesti dalla posizione di garanzia, potrebbe
comportare una responsabilità sia contrattuale che extra-contrattuale
nei confronti della società, dei soci e dei terzi, come previsto dagli articoli
2392, 2394 e 2476 del Codice Civile. Tuttavia, se l'amministratore può
dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento e che quanto
accaduto è stato imprevedibile e inevitabile ai sensi dell'articolo 1218 del
Codice Civile, tale responsabilità potrebbe essere esclusa. Inoltre, anche in
ambito penale, sarà necessario dimostrare che la rivelazione del segreto
commerciale è avvenuta in modo illecito e che l'amministratore non ha preso le
misure necessarie per proteggere tale segreto commerciale, al fine di applicare
le norme di tutela previste dall'articolo 623 del Codice Penale in materia di
rivelazione di segreti industriali o scientifici.
D'altra parte, particolare rilievo, inoltre,
è assunto anche dalla disciplina lavoristica del patto di non concorrenza, prevista
dall’art. 2125 del Codice Civile, quale strumento, sottoposto a rigorosi
limiti, atto ad evitare la dispersione dal patrimonio aziendale del know-how,
con potenziale e conseguente immane pregiudizio, soprattutto nelle imprese caratterizzate da tecniche
e processi di lavorazione innovativi e da grandi investimenti in Research
& Development.
Tali aspetti, accennati senza alcuna pretesa di esaustività, in ragione della breve trattazione, contribuiscono ad evidenziare la
necessità dell'impresa di agire, soprattutto in via preventiva, per evitare che la carenza di opportune valutazioni, la mancata adozione di adeguate policies e la presenza di una struttura organizzativa inconsapevole, possano, congiuntamente, generare gravi impatti sul patrimonio aziendale derivanti dalla acquisizione, utilizzo
e divulgazione abusiva di know-how e segreti commerciali (art. 99
C.P.I.), pur tutelabile, in maniera postuma, in sede giudiziale.