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L'impossibilità di trascorrere le vacanze presso la residenza estiva dell'altro coniuge non dà diritto ad un più alto assegno di mantenimento.

18/01/2023


A cura dell'avv. Paolo La Manna 


Così si è pronunciata recentemente la Corte Suprema di Cassazione con l’Ordinanza n. 852 del 13 gennaio 2023.

 

Il caso trae origine dalla pronunciata separazione personale di due coniugi, uno dei quali, il marito, proprietario di una casa estiva a Sorrento (NA), ove erano soliti trascorrere insieme le vacanze.

 

Nel corso del procedimento di separazione, il Tribunale determinava l’obbligo, a carico del marito, di corrispondere alla moglie l’importo di Euro 800,00 in suo favore ed un contributo per il mantenimento del figlio pari ad Euro 1.600,00.

 

In appello, la Corte stabiliva l’obbligo, a carico del marito, di versare un ulteriore assegno di mantenimento pari ad Euro 300,00 mensili in favore della moglie, al fine di consentirle di salvaguardare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e, segnatamente, “per compensare la perdita della possibilità di soggiornare nel periodo estivo presso un immobile a Sorrento di proprietà esclusiva dell'uomo”.

 

Il marito proponeva ricorso in Cassazione, lamentando, tra i vari motivi, la violazione e falsa applicazione dell’art. 156 c.c., per aver la Corte di merito, nel riconoscere alla moglie un assegno di mantenimento al fine di sopperire alla perdita della possibilità di soggiornare a Sorrento nel periodo estivo, aveva ritenuto che ogni singola condizione del precedente stile di vita dovesse essere mantenuta e garantita, addirittura matematicamente.

 

Sosteneva il marito, invece, che l’assegno di mantenimento non serve a compensare pro quota una mancata disponibilità o una specifica esigenza, ma ad impedire, tendenzialmente, lo scivolamento verso contesti socio-economico deteriori rispetto a quello di cui il coniuge godeva in costanza di matrimonio.

 

La Corte di Cassazione accoglieva il motivo di ricorso, cogliendo l’occasione per evidenziare quanto segue:

 

“Poiché la separazione personale presuppone la permanenza del vincolo coniugale, i "redditi adeguati" a cui va rapportato, ai sensi dell’art. 156 c.c., comma 1, l'assegno di mantenimento a favore del coniuge sono quelli necessari a mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, essendo ancora attuale il dovere di assistenza materiale, che non presenta alcuna incompatibilità con tale situazione temporanea (Cass. 12196/2017). Pertanto, condizioni per il sorgere del diritto al mantenimento in favore del coniuge cui non sia addebitabile la separazione sono la non titolarità di adeguati redditi propri, ossia di redditi che gli permettano di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, e la sussistenza di una disparità economica tra le parti, occorrendo avere riguardo, al fine della valutazione dell’adeguatezza dei redditi del coniuge che chiede l'assegno, al parametro di riferimento costituito dalle potenzialità economiche complessive dei coniugi durante il matrimonio, quale elemento condizionante la qualità delle esigenze e l'entità delle aspettative del medesimo richiedente. Nell’ambito dello svolgimento di un simile accertamento è necessario, tuttavia, non confondere il tenore di vita con la fruizione diretta di particolari beni.

 

È indubbiamente vero che la separazione può determinare (e normalmente determina) la cessazione di una serie di benefici e di consuetudini di vita, strettamente collegati alla posizione patrimoniale, reddituale, professionale e sociale dell'uno o dell'altro coniuge, che non sono riproducibili durante la separazione, cosicché il venir meno della possibilità di godere di singoli beni appartenenti a uno dei coniugi costituisce la fisiologica conseguenza della scelta di questi ultimi di dividere le loro sorti.

 

Ciò nonostante, il riconoscimento di un assegno di mantenimento deve avvenire considerando, piuttosto che la cessazione del godimento diretto di particolari beni, il generale tenore di vita goduto in costanza della convivenza, da identificarsi avendo riguardo allo standard di vita reso oggettivamente possibile dal complesso delle risorse economiche dei coniugi e tenendo conto, quindi, di tutte le potenzialità derivanti dalla titolarità del patrimonio in termini di redditività, di capacità di spesa, di garanzie di elevato benessere e di fondate aspettative per il futuro (cfr. Cass. 20638/2004, Cass. 5061/2006).

 

L'errore della Corte territoriale consiste perciò nell'aver fatto riferimento, ai fini della spettanza e della quantificazione dell'assegno, a un concetto di stile di vita ancorato alla cessazione della concreta fruizione di uno specifico bene (l’appartamento in Sorrento appartenente al marito), come se l'assegno di mantenimento dovesse indennizzare il venir meno di una simile disponibilità, omettendo invece di considerare, come una corretta lettura dell'art. 156 c.c. imponeva, tutte le potenzialità derivanti dalla complessiva situazione patrimoniale dei coniugi, nei termini appena descritti, al fine di verificare poi la necessità di garantire alla richiedente, ove consentito dalle capacità economiche dell'altro coniuge, la continuazione del complessivo standard di vita mantenuto in precedenza”.

 

Dunque, l’addio alle estati a Sorrento, trascorse in costanza di matrimonio presso l’immobile di proprietà dell’ex marito, non giustifica, di per sé, la corresponsione di un maggiore e più alto assegno di mantenimento, che sia compensativo di quella determinata e specifica utilità goduta e poi perduta.