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Bimbi costretti a incontrare il padre violento per tre anni, madre sospesa dalla responsabilità genitoriale. La CEDU condanna l’Italia.

15/11/2022

A cura dell'avv. Paolo La Manna

Bambini (nati nel 2010 e nel 2013) costretti a lungo ad incontrare il padre violento in un ambiente non adeguatamente protetto. La madre si oppone ed il Tribunale, considerandola “ostile agli incontri con il padre”, ne sospende la responsabilità genitoriale. Gli incontri, svolti in assenza di personale esperto e qualificato, in luoghi del tutto inidonei, proseguono settimanalmente per tre anni, per un anno e nove mesi dopo la prima segnalazione all’Autorità Giudiziaria dell’aggressività del padre nei confronti dei figli, arrecando loro grave turbamento della serenità dello sviluppo. 

La CEDU condanna l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.

Il caso

  • Nel luglio 2014 la madre dei bambini lascia la casa familiare insieme ai suoi due figli minori per sfuggire agli atti di violenza subiti dal padre dei bambini, tossicodipendente ed alcolizzato, nei cui confronti sporge denuncia penale.
  • Nel febbraio 2015, il Tribunale dei Minorenni, avendo accertato che il padre non aveva più modo di vedere i suoi figli, lo autorizza ad incontrarli in condizioni di “stretta protezione”, una volta alla settimana, alla presenza di uno psicologo.
  • Gli incontri, invece, iniziano ad essere svolti in luoghi del tutto inidonei rispetto alle condizioni di “massima tutela” prescritte. Avvengono in una biblioteca, in una piazza pubblica ed in una stanza vuota di una Casa Comunale, senza la presenza di uno psicologo.
  • Da marzo 2016, la situazione peggiora e gli incontri iniziano a diventare caratterizzati da una forte aggressività del padre che, peraltro, come a conoscenza delle Autorità, aveva interrotto la partecipazione al programma di disintossicazione.
  • La madre, pertanto, per tutelare la serenità dei figli minori, decide di non accompagnarli più agli incontri settimanali con il padre.
  • Per questo, nel maggio 2016 il Tribunale, ritenendola “genitore ostile al ripristino del rapporto padre-figlio” decide di sospenderne la responsabilità genitoriale.
  • Gli incontri proseguono e si svolgono in un clima di tensione, ostilità e vessazione. I figli rimangono soli con il padre, nonostante le varie segnalazioni di aumento della sua aggressività rivolte all’Autorità Giudiziaria.
  • Il Tribunale nel novembre 2018, un anno e nove mesi dopo dopo la prima segnalazione, decide, finalmente, di sospendere gli incontri, reintegrando, nell’anno 2019, la madre nella sua responsabilità genitoriale, e privando il padre della sua.

La madre, insieme ai due figli minori decide di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando la violazione degli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) ed 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.

La prima sezione della CEDU, con sentenza del 10 novembre 2022 (I.M. et autres c. Italie - 25426/20), tenuto conto della giurisprudenza in materia (cfr. Remetin c. Croazia (n. 2), n. 7446/12, §67, 24 luglio 2014), ha accolto, all’unanimità, il ricorso della donna e dei suoi due figli.

La Corte, difatti:

  • ha accertato che gli incontri tra i bambini e il loro padre non hanno avuto luogo secondo la decisione del Tribunale che li autorizzava in condizioni di “forte protezione”. Inoltre, lo psicologo è stato nominato solo in ritardo (nel dicembre 2015). Durante tutto questo periodo, i figli sono stati costretti a incontrare il padre in condizioni poco rassicuranti e non idonee ad uno sviluppo sereno ed armonioso, nonostante il Tribunale fosse stato avvertito che il padre non seguiva più il suo programma di trattamento per tossicodipendenti e che il procedimento penale contro lui per maltrattamenti era ancora pendente;
  • ha accertato che, peraltro, il Tribunale era stato anche informato che i bambini avevano bisogno di seguire un percorso di sostegno psicologico e che non ha tenuto efficacemente conto del loro benessere, tanto più che questi incontri hanno esposto i bambini sia ad assistere alle violenze commesse nei confronti della madre sia a quelle che hanno sofferto direttamente a causa delle aggressioni del padre;
  • ha accertato, inoltre, che gli incontri svoltisi per circa tre anni hanno disturbato l'equilibrio psicologico ed emotivo dei bambini.

La Corte, ancora, ha espresso forti perplessità sul perché il Tribunale, al quale erano state trasmesse le denunce già nel 2015, abbia deciso di consentire gli incontri, senza valutare adeguatamente il rischio a cui erano esposti i bambini e senza dimostrare che l'interesse superiore dei bambini avrebbe dovuto prevalere sugli interessi del padre nel mantenere i contatti con loro e nel continuare gli incontri. D’altra parte, costituisce principio caratterizzato da un consenso molto ampio anche nel diritto internazionale che in tutte le decisioni riguardanti i bambini, il loro best interest - interesse superiore - deve avere la preminenza (Strand Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 207, 10 settembre 2019, Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010, e X c. Lettonia [GC], n. 27853/09, § 96, CEDU 2013).

Pertanto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha condiviso le preoccupazioni del GREVIO (Gruppo di esperti indipendenti del Consiglio d’Europa incaricato di monitorare l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la Convenzione di Istanbul) circa l’esistenza di una pratica molto diffusa tra i Tribunali civili: quella di ritenere che le donne che invocano atti di violenza domestica si rifiutino di partecipare agli incontri dei propri figli con l’ex coniuge e si oppongano alla condivisione dell'affidamento con lui o all’esercizio del diritto di visita in quanto genitori “non collaborativi” e quindi “madri inadatte” meritevoli di sanzione.

La Corte, inoltre, non si è detta convinta che le autorità nazionali avessero fornito motivi pertinenti e sufficienti per sospendere la potestà genitoriale della madre per tre anni. I Tribunali non hanno esaminato attentamente la sua situazione. Hanno preso la loro decisione sulla base del suo comportamento ritenuto presumibilmente ostile al padre, senza tener conto di tutti gli elementi rilevanti del caso.

Pertanto, la CEDU ha stabilito che:

  • la decisione di sospendere la madre dalla responsabilità genitoriale costituisce un’ingerenza rispetto al suo diritto al rispetto della vita familiare, previsto dalla legge, nel perseguimento legittimo della tutela della salute e dei diritti e delle libertà dei figli minori (mutatis mutandis R.M. c. Lettonia, n. 53487/13, § 102, 9 dicembre 2021). Tale ingerenza viola l’art. 8 della Convenzione, a meno che non sia “a norma di legge”, persegua uno o più scopi legittimi di cui al comma 2, e non possa essere considerata un provvedimento “necessario” in una società democratica;
  • le decisioni dei Tribunali italiani non hanno tenuto conto delle difficoltà che hanno caratterizzato lo svolgimento degli incontri, della mancanza di sicurezza più volte denunciata, della situazione di violenza vissuta dalla madre e dai suoi figli e del procedimento penale pendente a carico del padre per maltrattamenti.

La CEDU, dunque, chiamata a pronunciarsi sul caso, ha stabilito che l’Italia ha violato l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ove è sancito il diritto al rispetto della vita privata e familiare, fallendo nel suo dovere di proteggere e assistere i bambini, nonché rendendo nuovamente vittima anche la madre, non avendo i Tribunali fornito ragioni pertinenti e sufficienti a giustificare la decisione di sospenderne la responsabilità genitoriale per 3 anni,  adottata sulla base di una presunta ed indimostrata ostilità nei confronti del partner.

L’Italia dovrà anche risarcire i due bambini coinvolti versando 7.000,00 Euro.