A cura dell'avv. Paolo La Manna
Bambini (nati nel 2010 e nel 2013) costretti a lungo ad incontrare il padre violento in un ambiente non adeguatamente protetto. La madre si oppone ed il Tribunale, considerandola “ostile agli incontri con il padre”, ne sospende la responsabilità genitoriale. Gli incontri, svolti in assenza di personale esperto e qualificato, in luoghi del tutto inidonei, proseguono settimanalmente per tre anni, per un anno e nove mesi dopo la prima segnalazione all’Autorità Giudiziaria dell’aggressività del padre nei confronti dei figli, arrecando loro grave turbamento della serenità dello sviluppo.
La CEDU condanna
l’Italia per violazione dell’art. 8 della Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.
Il caso
La madre, insieme
ai due figli minori decide di rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo,
lamentando la violazione degli artt. 3 (divieto di trattamenti inumani o
degradanti) ed 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della
Convenzione Europea sui Diritti dell’Uomo.
La prima sezione
della CEDU, con sentenza del 10 novembre 2022 (I.M. et autres c. Italie
- 25426/20), tenuto conto della giurisprudenza in materia (cfr. Remetin c.
Croazia (n. 2), n. 7446/12, §67, 24 luglio 2014), ha accolto, all’unanimità, il
ricorso della donna e dei suoi due figli.
La Corte, difatti:
La Corte, ancora,
ha espresso forti perplessità sul perché il Tribunale, al quale erano state
trasmesse le denunce già nel 2015, abbia deciso di consentire gli incontri, senza
valutare adeguatamente il rischio a cui erano esposti i bambini e senza dimostrare
che l'interesse superiore dei bambini avrebbe dovuto prevalere sugli interessi
del padre nel mantenere i contatti con loro e nel continuare gli incontri. D’altra
parte, costituisce principio caratterizzato da un consenso molto ampio anche
nel diritto internazionale che in tutte le decisioni riguardanti i bambini, il
loro best interest - interesse superiore - deve avere la preminenza (Strand
Lobben e altri c. Norvegia [GC], n. 37283/13, § 207, 10 settembre 2019,
Neulinger e Shuruk c. Svizzera [GC], n. 41615/07, § 135, CEDU 2010, e X c.
Lettonia [GC], n. 27853/09, § 96, CEDU 2013).
Pertanto, la
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha condiviso le preoccupazioni
del GREVIO (Gruppo di esperti indipendenti del Consiglio d’Europa incaricato di
monitorare l’attuazione della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla
prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la
violenza domestica, la Convenzione di Istanbul) circa l’esistenza di una
pratica molto diffusa tra i Tribunali civili: quella di ritenere che le donne
che invocano atti di violenza domestica si rifiutino di partecipare agli
incontri dei propri figli con l’ex coniuge e si oppongano alla condivisione
dell'affidamento con lui o all’esercizio del diritto di visita in quanto
genitori “non collaborativi” e quindi “madri inadatte” meritevoli di sanzione.
La Corte, inoltre,
non si è detta convinta che le autorità nazionali avessero fornito motivi
pertinenti e sufficienti per sospendere la potestà genitoriale della madre per
tre anni. I Tribunali non hanno esaminato attentamente la sua situazione. Hanno
preso la loro decisione sulla base del suo comportamento ritenuto
presumibilmente ostile al padre, senza tener conto di tutti gli elementi
rilevanti del caso.
Pertanto, la CEDU ha stabilito che:
La CEDU, dunque,
chiamata a pronunciarsi sul caso, ha stabilito che l’Italia ha violato
l’articolo 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ove è sancito il
diritto al rispetto della vita privata e familiare, fallendo nel suo dovere di
proteggere e assistere i bambini, nonché rendendo nuovamente vittima anche la madre, non avendo i Tribunali fornito ragioni pertinenti e sufficienti a
giustificare la decisione di sospenderne la responsabilità genitoriale per 3
anni, adottata sulla base di una
presunta ed indimostrata ostilità nei confronti del partner.
L’Italia dovrà
anche risarcire i due bambini coinvolti versando 7.000,00 Euro.